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CERIMONIA INAUGURALE FESTIVAL DELLA PACE 2022


Eccoci! Solo un anno fa ci ritrovavamo alla cerimonia inaugurale della quarta edizione del Festival e pensavamo di avere già visto abbastanza: aerei cargo carichi di persone che fuggivano dall’Afghanistan, un non console immediatamente diventato un eroe, un esperimento di esportazione della democrazia completamente fallito.


Un anno dopo ci ritroviamo con un mondo che ha ancora più bisogno di occasioni come queste per darsi il tempo di riflettere, di approfondire, di entrare nella complessità della realtà che abitiamo. Abbiamo bisogno di ascoltare, comprendere quello che è più vicino a noi ma anche quello che vivono persone e territori in altre parti del mondo.


Allora oggi con voi voglio fare un gioco che tutti da bambini e da bambine abbiamo fatto. Prendiamo la parola Pace e ne facciamo l’acrostico.


Partiamo!


P come Parole: il linguaggio che usiamo definisce chi siamo. Le parole danno forma ai nostri pensieri, le parole costruiscono mondi e visioni, le parole possono dare speranza. Le parole possono fare la guerra. Le parole possono togliere la vita. Allora partiamo da qui. Dal nostro linguaggio. Ripuliamolo dall’odio, dalle urla, dal rancore. Ripuliamo le parole per ripulire i nostri pensieri. Le parole hanno un peso. Quando ascoltiamo termini come “carico residuale” per indicare Persone (con un volto, con una storia, con dei legami, con una professione) siamo di fronte all’abominio del linguaggio e del pensiero, oltre a quello dell’azione. Quando poi le parole sono le parole di un politico che ha rilevanza nazionale, quella P dovrebbe essere maneggiata con ancora più cura, attenzione, delicatezza. Senza continuare a costruire narrazioni su percezioni quanto su dati di fatto, verificabili. Una narrazione diversa perché la verità dei dati è diversa.


A come Accoglienza: Pensiamo al Memorandum d'Intesa tra Italia e Libia che ha prodotto negli ultimi 5 anni almeno 82.000 respingimenti e che è stato rinnovato automaticamente per altri tre anni. E ma “non possiamo farci carico di tutti i rifugiati delle guerre”, poi accade che in pochissimi mesi, l’Unione Europea è capace di accogliere 8, 5 milioni di persone in fuga dalla guerra in Ucraina. 153.968 in Italia con un permesso di protezione temporanea, mentre stiamo parlando di 89.826 persone sbarcate fino a ieri. Tanti degli Enti Locali qui presenti hanno garantito mensa, ospitalità, corsi di italiano anche senza documenti, c’è stato un tam tam di solidarietà che ha messo ben in evidenza che se si vuole si possono cambiare politiche e quindi azioni per un’accoglienza degna delle persone in fuga. Persone in fuga che portano le proprie competenze, le proprie professionalità, i propri sogni nei paesi di arrivo e possono contribuire in termini di crescita e sviluppo dei paesi ospitanti. Questo Festival ha al centro il rapporto tra Guerra ed Economia, le disuguaglianze come causa ma anche conseguenza dei conflitti. Questa A assume allora un ruolo ancora più importante.


C come Comunità: Sarà che ho una sorella gemella e quindi dal principio per me stare al mondo (nel bene e nel male) significa condividere, sortirne insieme da ciò che accade. Essere Comunità è essere molti, con una pluralità di idee, con una pluralità di sguardi, non sempre essere d’accordo. Le Comunità sono le nostre città, i nostri paesi e pensiamo a quanto in guerra siano allo stesso tempo le più colpite e quelle più vicine alle persone. Quelle che sono abituate a trovare le soluzioni nel qui e nell’ora e i sindaci e gli assessori presenti ne sanno qualcosa. Ma le comunità sono anche quelle temporanee che nascono per un scopo specifico. Nella programmazione laboriosa di questo festival è rinata una comunità operosa di piccole, medio, grandi realtà, di Fondazioni prestigiose, di Istituzioni sensibili e con esse di tutte le persone artisti, musicisti, ricercatori, studiosi…che dedicano il proprio tempo di lavoro o libero per esserci. Perché credono che giocare la propria vita in prima persona per diffondere una cultura di pace ne valga la pena. Chiediamo questo al nostro Governo e alla nostra Casa Europea che si giochino in prima persona per una visione e per la realizzazione di un mondo che tenga al centro l’essere comunità, che tenga insieme, nonostante le difficoltà e le fatiche, le necessità di tutti, lavorando per la piena realizzazione di una giustizia sociale. Chiediamo al Governo e all’Europa che non arretrino nel costruire e praticare diritti per tutte e tutti e che si impegnino in ogni sede istituzionale per ripensare al modello di accoglienza a livello Europeo.


E come Educare: Io amo questa parola perché ci dà il tempo e la misura di un processo in cui ciascuno può contribuire. Educare come EDUCERE tirar fuori ma anche come EDERE, nutrire, nutrimento. E ciascuno di noi a volte ha bisogno di qualcuno che lo sproni a tirare fuori ciò che di bello e buono ha dentro ma abbiamo anche bisogno di qualcuno che ci abbia a cuore e che ci nutra. In quest’ottica il lavoro di sensibilizzazione e promozione per sviluppare una cultura di Pace è un lavoro quotidiano, capillare ed intergenerazionale che vede impegnate tutte e tutti noi. Ha bisogno però di testimoni credibili e persone autentiche, di maniche rialzate. E’ un lavoro da artigiani, di sguardi accorti e mani laboriose. Dove si impara reciprocamente e dove la sensibilità dei più piccoli ancora così legata al genere umano nella sua totalità, potrebbe guidare lo sguardo dei più grandi con più lungimiranza. Diciamo spesso che i giovani sono il nostro futuro. Io penso che il futuro lo costruiamo insieme tutti i giorni, passo dopo passo, impegnandoci con slancio e responsabilità per un mondo più giusto e umano.


Rendiamo la pace pensabile, rendiamo la pace possibile!


Grazie,


Camilla Bianchi



Fonte immagini: GDB



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