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UNA SALITA, TANTE RISATE.



E’ passato più di un mese dall’esperienza vissuta sul Gran Paradiso il 15 e 16 settembre, ci metto sempre un po’ a lasciare decantare emozioni, immagini e riflessioni.


Parto questa volta con qualche pensiero in più. Non ho paura della quota né della meteo. Danno due giorni belli, belli. Ma questa nuova avventura era stata pensata in altro modo: dovevamo essere in due, mentre ora mi sto per ritrovare da sola al casello di Bergamo con 40 minuti di ritardo (soliti incidenti sulla A4) per incontrare Francesco, l’aspirante guida alpina di Alp Experience e due ragazze di cui non so (ancora) nulla.


In realtà qualcosa so: conosco la voce di Claudia. Voce squillante ed entusiasta.


Ci eravamo sentite perché lei e Valeria avrebbero voluto fare qualcosa nel Gruppo del Rosa, Francesco aveva però rilanciato il Gran Paradiso, avendo attraversato il Rosa più volte questa estate di cui una con me, per poi dirci di metterci d’accordo da noi.


L’accordo si trova in fretta, anche loro con il cuore a mille per sperimentarsi su un 4000, e poi “insomma se si va sul Rosa, si vanno a fare almeno due cime” mi dicono…Toste, penso.


L’incontro alle 9 passate è subito un fluire continuo di parole, chiacchiere, sorrisi ed energia. Il povero Francesco, si sorbirà 4h (superare il casello di Milano è sempre una grande impresa) di aneddoti e racconti sulle nostre avventure in montagna, in palestra, al lavoro. Sulle sveglie improbabili per fare crossfit in una palestra a Travagliato, su un gruppo di amiche che grazie alla pandemia si è costruito, ritrovato ed è cresciuto. “Dovresti chiedere una quota aggiuntiva “sole donne” è la battuta di Claudia una volta salita in auto, ma secondo me Francesco si è divertito parecchio.


Arriviamo a Pont Valsavaranche, pranzo rapido, ci cambiamo e via verso il Rifugio Vittorio Emanuele; le indicazioni danno 2 h e mezza.

Sono come sempre molto felice di essere tra i monti e ancora più contenta di scoprire un posto totalmente nuovo. Felice perché quest’anno ho avuto davvero l’occasione di vivere le terre alte, le loro fatiche, le necessarie attenzioni, ma anche i grandiosi orizzonti. Dal bivacchetto verde sulla catena del Bianco, il bivacco Hess, nell’aria frizzantina dell’alba a fine luglio, avevo riconosciuto il Monte Rosa e il Gran Paradiso in quel dipanarsi di cime, vette, contorni e forme all’orizzonte e mi ero emozionata intensamente nel vedere tutta quella bellezza e i raggi del sole insinuarsi tra quelle rocce e accendere il giorno.


Ora verso il Gran Paradiso, ad agosto a Capanna Margherita come un filo rosso che collega quei tre luoghi.

Mi perdo in questi pensieri mentre con Francesco iniziamo a salire di buon ritmo. Sono felice di avere di nuovo l’occasione di fare un po’ di strada insieme e di imparare da lui. Mano, mano saliamo, prima su una mulattiera, poi diventa sentiero, i larici spariscono e si affacciano cime innevate; intanto i nostri discorsi hanno a che fare con boschi annientati dalla tempesta Vaia e il lavoro di pulizia che ne consegue, con il ruolo della politica e delle comunità montane nei comuni di montagna, con le responsabilità che si hanno verso gli altri quando si ha un lavoro in proprio o più semplicemente le responsabilità che ciascuno di noi ha nel cercare di svolgere al meglio il proprio mestiere. L’impegno per la difesa dei boschi, della natura e di alcuni assurdi progetti che stanno intaccando le valli che abitiamo. Condividiamo il nostro essere genitori e da “milanese imbruttita” confido anche il ribaltamento di prospettiva nel pensare di vivere in un luogo che non è la città, ma che ha una fitta trama di relazioni. Poche centinaia di metri di dislivello e abbiamo già aggrovigliato insieme tanti pensieri. Bello conoscersi così.


Poi alzo lo sguardo e vedo questo edificio che sembra una latta…siamo arrivati! Il tempo è volato, meno di due ore e ci stiamo cambiando la maglietta sudata. Il sole e le nuvole ci hanno accompagnato per tutta la salita, ora inizia un vento freddino. La forma di questo rifugio mi diverte, ho proprio voglia di entrare!


La porta, l’ingresso e buona parte del corridoio sono ricoperti, tappezzati completamente di adesivi; come al solito non ho con me quelli di Ape, ma le mie due nuove compagne di avventura disseminano, nel giro di pochi minuti, almeno 8 adesivi del loro gruppo: “Mountains and Muscles” e così scopriamo più da vicino la loro realtà… Mi colpisce moltissimo la sorellanza, il trovarsi e conoscersi e decidere di provare a contaminarsi con le reciproche passioni. Montagna e Muscoli che poi dai racconti che ci faranno ridere a crepapelle, saranno racconti e ricordi di “piombe” e mangiate, di dirsi le cose da donne fra donne, di stare bene insieme e di continuare, dopo le vette raggiunte, con il terzo tempo a casa di Claudia.


Rido con gli occhi che mi si bagnano e rido di come la montagna possa essere condivisa in questo modo con due quasi sconosciute. I tavoli intorno al nostro tagliere e alle nostre birre si riempiono, per lo più stranieri, ma anche una guida di Cogne con due ragazze. Io come sempre osservo: vedo il tecnico tutto vestito abbinato di un arancione elegante, il francese alla ricerca di vino, il gruppo italiano di ragazze e ragazzi, forse coppie.



“Il mondo si divide in due: la parte giusta che ha il genepì e quella sbagliata che non ce l’ha” Claudia ha le idee molto chiare; per fortuna la signora Marina che si è fatta tutta la stagione al rifugio non ci delude e possiamo berci, prima della notte, un bicchierino di questa delizia. Non manca anche in questo caso il racconto alcolico di Valeria e Claudia e di come rendere, quei simpatici orsetti gommosi, piccoli tesori alcolici da gustarsi nel freddo delle camminate. Per la ricetta chiedere a loro!


Le ultime battute prima del riposo ci fanno capire quanto possa essere tosto e faticoso il lavoro del rifugista. Marina sta prendendo sonoramente in giro la guida di Cogne, rea di essere passata dal rifugio almeno 15 volte durante la stagione e gli propone di appoggiarsi per le prossime salite al rifugio Chabot, che lei di vederlo al Vittorio Emanuele non ne ha proprio più voglia. “Giratemi il cartello quando scendete…Vittorio Emanuele chiuso! Domani voglio essere sola” e giù le risate di una donna appassionata del proprio mestiere.


Mi affaccio fuori dal rifugio, qualche stella si vede. Francesco ci diceva che sarà una super giornata, ma la mia mente vola al whiteout sul ghiacciaio del Lys. Il mio cuore ride divertito. Vedremo.


La sveglia questa volta non è proibitiva, alle 4.00. Sono più tranquilla per la questione lenti a contatto e invece ne sprecherò tre. Colazione e thè caldo per la salita e siamo pronte. Accendiamo la frontale e iniziamo a salire per la morena. Guardo in su, anche questa volta le stelle accompagnano il nostro incedere, riconosco le pleiadi, la costellazione di Orione.


Non fa freddo, si sta bene, qualche cordata è davanti a noi e ad un certo punto le vie si separano: chi affronterà il ghiacciaio o la ferrata e chi invece seguirà la vecchia via a destra tra le rocce. Entrambe queste strade si ritrovano alla schiena d'asino per l’ultimo tratto comune di salita.


Questa volta non avevo guardato nulla dell’itinerario, avevo chiesto solo a due amici fidati, saliti da poco, ed entrambi mi avevano risposto con un “Andrà benone”. Francesco una volta arrivati al rifugio aveva tirato fuori la cartina e c’eravamo messi a guardarla insieme. Quanto mi piace guardare quel foglione di carta, riconoscere l’itinerario, le curve di dislivello, leggere i nomi delle cime. Mi piace perché la scoperta avanza via via che si hanno le competenze per leggerla la cartina. Dei segni convenzionali, dal tratteggio ai colori, diventano indicazioni preziose per la salita, purché si sappia dove ci si trova. Bisogna allenare lo sguardo.


Durante la cena avevamo deciso di salire per la ferrata. Arriviamo al bivio, nel buio della notte non vediamo il sentiero più semplice che sale e così ci imbraghiamo e ci leghiamo tra noi in modo da salire in sicurezza un salto di rocce e arrivare nuovamente ad un ampio pianoro che ci porterà, tramite omini e legni, a raggiungere l’inizio della ferrata. Capisco subito chi sarà la fotografa del gruppo: mentre camminiamo qualche volta mi sento tirare, è Claudia che si è fermata per immortalare uno scenario. Sarà divertente vedere cosa salterà fuori. Davanti al cartello di inizio ci fermiamo a mangiare qualcosa. Inizia ad albeggiare e la Grivola ci sorride senza un filo di neve; si vedono strati, su strati, la composizione della montagna. Le nuvole sopra di noi si illuminano con le prime luci del giorno; qualche nuvola poco rassicurante c’è, ma non ci penso. Francesco ci dà le indicazioni utili e così scopro come in cordata si possa procedere in sicurezza anche su ferrate, basta sapere quali nodi fare, lasciare un po’ di corda e un moschettone e la longe è fatta.


La ferrata nella sua semplicità ci permette di entrare subito nel vivo di scenari pazzeschi: ghiacciai crepacciati, il granito che ci ospita e ci permette di procedere in modo spedito. Le nostre mani sono congelate e ogni tanto ci troviamo a fare circonduzioni delle braccia per cercare di attivare la circolazione. Salire su una ferrata senza sentire bene tutte le dita non è il massimo, ma è davvero sempre ben attrezzata e non mi sento mai in difficoltà. Un passaggio esposto ci regala l’emozione di essere sopra al ghiacciaio Laveciau, ma più in alto di diversi metri. Vediamo dei piccoli omini che si stanno districando nel dedalo di crepacci. Iniziamo a prendere le misure del procedere insieme.


La ferrata termina e ci troviamo ora a dover risalire dritto per dritto questa parte di ghiacciaio, così mettiamo i ramponi. Francesco ci dà le indicazioni per sfruttare a pieno tutte le punte. Parte lui, lo seguo io, dietro di me Claudia e infine Valeria. Iniziamo questo viaggio nel bianco, grigio, azzurro del ghiaccio di questi mesi; non c’è una traccia evidente, probabilmente in pochi in questi giorni sono saliti da qui. Iniziamo questo viaggio nel vento.


Manca ancora un salto per poter arrivare alla schiena d'asino, io penso che se non ci fosse stato Francesco sarei andata tutta a destra per recuperare la traccia proveniente dalla vecchia salita. Francesco invece lo affronta, crea un piccolo scalino nel ghiaccio con la picca, sale, io non lo vedo più, sento che dall’alto mi chiama. Non sono convintissima devo procedere alternando il piede sinistro con il destro, poi girarmi con il viso a monte, fidarmi di quel piccolo scalino, piantare la picca e tirarmi su a carponi. Mi fido, anzi ci fidiamo e in poco siamo su tutte e tre. Ora procediamo speditamente, ma le nuvole che si continuano ad alternare con il vento, anche questa volta si infittiscono e ci avvolgono. La domanda sorge spontanea: “Sarò io che porto sfiga?” Francesco non si trattiene e me lo dice proprio. Rido pensando a quanto sia variabile il tempo a queste quote.



Ora non ci resta che salire, tutte queste nuvole generano un clima strano: ciglia, sopracciglia e capelli diventano bianchi dal freddo che stiamo prendendo. Guardo e la cornice del mio sguardo è composta dalla brina ghiacciata sulle mie ciglia. E’ un effetto particolare, che vivo per la prima volta.


Avremmo proprio bisogno di muoverci e invece ci troviamo di fronte ad un po’ di coda per utilizzare la scala che supera il crepaccio terminale. Qui ci sentiamo delle vere bomber, ci diamo il tempo per salire così da procedere insieme, ultimi passaggi con la picca e siamo di nuovo in piedi per affrontare l’ultimo pezzetto. Ancora un traverso su cui fare attenzione per poi arrivare nuovamente su roccia. Siamo congelate, ma siamo proprio sotto la Madonnina! La vediamo!

L’emozione di essere lì in cima e non vederci nulla, non vedere tutto il vuoto che ci circonda ci fa essere anche disinvolte negli spostamenti.

Immancabile la foto di rito e l’adesivo viola di M&M appiccicato. Decidiamo di ridiscendere per la stessa via della salita. Il freddo pungente ha rallentato diverse cordate e non c’è questa coda sulla cima che ci costringe a fare il “senso unico obbligato” che da ormai diversi anni regolamenta la salita e la discesa dalla vetta. L’emozione è tanta, il freddo pure.


Per la prima volta lo sento, mi fa sbattere i denti e ho voglia di muovermi.


Ci muoviamo su questo tratto finale di roccia con cura e velocità o almeno mi sembra; abbiamo quasi superato in toto un gruppo di francesi, ma alla fine insistono per andare avanti loro…. cosa che ci procurerà 15 lunghi minuti di attesa appena prima della scaletta, sono un po’ impacciati e procedono molto lentamente. Sarà che ci siamo congelate davvero troppo, ma quando tocca a noi siamo rapide e sicure, per non parlare di Francesco che si fa ammirare da tutti i presenti scendendo la scaletta tre pioli in tre pioli.

Decidiamo che è l’ora di riattivare la circolazione, acceleriamo e scendiamo fino alla schiena d'asino, riuscendo ad ammirare di tanto in tanto lo scenario che si apre.


Francesco ci chiede “roccia o ghiaccio?”. Decidiamo di scendere per il ghiacciaio così da chiudere un anello e da goderci e sperimentarci in questo ambiente finché c’è e finché possiamo. Iniziamo a scendere mentre diverse cordate stanno salendo; è davvero freddo, spero per loro che possano riuscire a realizzare qualcosa.


Negli incroci di saluti, salutiamo il mondo. Donne, uomini, alti, bassi, super coperti, molto scoperti, abbinati o con giacche dai colori anni 70, normodotati o con protesi alle gambe. Tutti affaticati ma lì verso la cima, accumunati dalla stessa passione. Sopra le nostre teste un corvo fa i suoi volteggi, è da stamattina che ci fa compagnia. Ed è da stamattina che penso a quante minuscole o grandi briciole di cibo dobbiamo lasciare lungo il percorso, anche inavvertitamente, perché un corvo sia presenza abituale da quelle parti.


Ad un certo punto plana vicino a noi, c’è un minuscolo pezzetto rosso di qualche prelibatezza alla mia sinistra, si avvicina, mi guarda, lo prende e riprende il suo volo. Sorrido.


Riprendiamo la discesa e il nostro continuo alternare corda a valle e picca a monte è un gioco che ci tiene compagnia prima di avvicinarci a maestosi crepacci, che in alcuni casi riscendiamo in parte, in altri affrontiamo grazie a ponticelli più o meno instabili. Uno di questi è veramente al limite. Il crepaccio è profondo diversi metri, il ponte un tempo doveva poggiare in modo più sicuro ad entrambi i lembi di quella pelle strappata, ma ora dal lato in cui procediamo, è appoggiato per pochi centimetri e manca o forse un tempo non ce n’era bisogno, un primo piolo. Qui il divertimento si compone di un piede su un palo, un piede sull’altro, picca per tenere l’equilibrio sul primo piolo e poi via con il primo passo.



Senza pensarci troppo vado e così Claudia e Valeria, Francesco immortala tutto con una fotografia mentre io mi perdo a sbirciare giù dal ponte e dietro di me, giustamente fremono per scendere. Crepacci che assomigliano a smagliature della pelle, luoghi in cui il ghiacciaio è più vulnerabile.


Manca poco e vediamo la fine del tratto sul ghiacciaio. Ci fermiamo a togliere i ramponi e ora il tempo volge al bello. Si libera tutto e iniziamo a fare foto. Ridiamo pensando a tutti i profili Instagram di cui Claudia e Valeria ci hanno parlato a cena, da Alpiniste monelle a Tette in Vetta e profili individuali di fanciulle in intimo tra neve e vette. Noi ci accontentiamo delle nostre foto. Mi perdo guardando l’orizzonte, riprendiamo il cammino e vediamo anche il Bianco, sta davvero diventando una giornata meravigliosa.



Riniziamo a scendere, vediamo il sentiero che non avevamo visto la mattina e continuano le nostre chiacchiere.


Claudia mamma organizzata, abile cuoca e donna tenace, che gli acciacchi di salute non impediscono ai sogni grandi di realizzarsi; Vale sorriso contagioso ed energia vulcanica, ingegnere di professione, con mille passioni, una nipote per i consigli di outfit e un cane da coccolare.

Ci ripromettiamo di trovarci di fronte ad una pasta e fagioli (“vegetariana…ma cotta con pancetta”) a degli orsetti gommosi alcolici e del genepì, che la vita va vissuta con energia e anche un po’ di spensieratezza.


Anche questa volta grata per le risate contagiose, per il trovare il giusto ritmo insieme e per le nuove conoscenze. E’ stato più impegnativo della salita a Capanna Margherita, un itinerario più vario, qualche passaggio su cui fare più attenzione. Mi sento davvero bene.


L’uomo del gruppo, dalle braccia conserte lungo il cammino o con le braccia dietro la schiena sotto lo zaino, è stato davvero prezioso anche questa volta!


Ora inizia la sua più grande fatica …riprendere l’auto e sperare, di venerdì pomeriggio, di superare indenni il casello di Milano. La vera salita inizia qui.



Ph: Francesco, Claudia, Valeria.


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